La decisione dell’AI nelle scuole è figlia di uno studio di 40 anni fa

Lo ha spiegato il consigliere del Ministro Valditara. Ma è possibile applicare un approfondimento del 1984 a dinamiche digitali moderne?

11/09/2024 di Enzo Boldi

Gli studi del passato hanno sempre avuto un notevole impatto sulle decisioni del presente e per il futuro. Ma quel che sorprende in tutti i discorsi legati all’introduzione/integrazione dell’AI a scuola è che il progetto – al via in fase di sperimentazione in 15 classi sparse lungo quattro regioni – avviato dal Ministero dell’Istruzione ponga le sue basi su una ricerca di oltre 40 anni fa. Ad annunciare questo riferimento è stato il Consigliere del Ministro Valditara.

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Intervistato dal Quotidiano Nazionale, Paolo Branchini (dirigente di Ricerca nella Sezione dell’Università RomaTre e Consigliere per le materie STEM al dicastero dell’Istruzione), ha spiegato il principio alla base di questo progetto di cui è stato incaricato come responsabile proprio dal MIM:

«Una ricerca scientifica di Benjamin Samuel Bloom dimostrava che gli assistenti umani del professore miglioravano di molto l’apprendimento degli allievi nel post-insegnamento. Al momento non ci sono evidenze dirette con assistenti basati su Ia. Per questo la sperimentazione serve a chiarire se funziona, ma anche con quali limiti». 

Dunque, la base è uno studio del pedagogista americano Bloom pubblicato nel 1984 con il titolo di “The Search for Methods of Group Instruction as Effective as One-to-One Tutoring“. Ma come può una ricerca condotta ben 40 anni fa a essere la base per un progetto didattico basato sull’intelligenza artificiale e suoi suoi strumenti?

AI a scuola, il progetto nato da uno studio del 1984

Proviamo a sintetizzare il contenuto dello studio di Bloom per comprendere come si stiano cercando di attualizzare dei risultati del 1984 a dinamiche moderne. Il pedagogista statunitense, infatti, ha effettuato una ricerca per comprendere come la presenza di un tutor personale (per ogni singolo studente) abbia un impatto positivo sui suoi risultati scolastici. Per farlo, ha mostrato i risultati di una rilevazione basata sui voti e i risultati alle prove sostenute dagli alunni. Le classi – ognuna di 30 persone – che avevano un tutor “ad personam” hanno mostrato un apprendimento maggiore rispetto a quelle con un numero inferiore di tutor o a quelle prive di questa figura.

Ovviamente, trattandosi del 1984, non si parlava di assistenti virtuali, ma di persone fisiche che interagivano personalmente e singolarmente con ogni alunno a mo’ di supporto all’apprendimento. Oggi, secondo l’idea del Ministero dell’Istruzione, questo potrebbe (siamo in fase di sperimentazione biennale per un ristrettissimo campione di studenti italiani) essere il risultato del supporto – a mo’ di tutor – alla didattica grazie agli strumenti AI.

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