kebab: ecco com’è fatto e cosa c’è dentro
14/04/2013 di Maghdi Abo Abia
Kebab
L’Italia, e non solo, negli ultimi anni si è “innamorata” di un panino turco molto particolare composto da carne, verdure e salse. Parliamo del “Kebab“, in arabo “carne arrostita”. Un piatto di origine turca diventato famoso in tutto il mondo grazie all’emigrazione delle popolazioni del medio oriente.
LE PROTESTE – Parliamo però di un piatto avversato da molti, sia per questioni culturali sia per questioni alimentari. Lo scorso anno parlammo di un monsignore di Sarzana, in provincia di La Spezia, don Piero Barbieri, per il quale una gastronomia etnica a pochi metri dalla sua chiesa sarebbe stata considerata “inopportuna” per il decoro della città. Anche se nella località erano presenti all’epoca già due “kebabbari”. La Lega Nord già da tempo combatte il fenomeno espansionistico delle rosticcerie mediorientali. Ad esempio, come ci ricorda il Foglio, alle ultime amministrative di Bologna il candidato sindaco leghista Manes Bernardini tra le sue proposte voleva fissare “limiti al proliferare di negozi etnici”, al fine di evitare che la città sia sempre più invasa da venditori di kebab.
LE QUESTIONI DI PRINCIPIO – Ci sono poi barriere culturali difficili da scardinare. Esistono molte persone che non mangiano kebab per una questione d’igiene e di non fiducia. Capita spesso, specie al termine di una serata tra amici, di sentire la voce di qualcuno che tra le opzioni del panino pre-nanna (forse non salutare ma certo molto utile specie dopo una serata in cui si è perso il controllo degli alcolici) tende a scartare il kebab, a volte per mere questioni di principio, magari rinfocolate dalla lettura di articoli nei quali vengono annunciati metodi “particolari” per la realizzazione dello spiedo rotante, chiamato in turco “doner”.
OCCHI NEL KEBAB? – Su Facebook in queste ore è diffuso un articolo qui ripreso da Agoravox nel quale si dice che la carne del kebab in realtà sarebbe il frutto del miscuglio di intestino, polmoni, lingua, occhi, scarti di macelleria, ossa, sale e grasso animale. Non, no è la ricetta della zuppa di una strega ma gli ingredienti della “carne” di un Doner Kebab. Per rafforzare tale tesi viene proposto il link ad uno studio condotto in Inghilterra da un’equipe di scienziati e nutrizionisti ma nel riassunto si spiega che più del 50 per cento della carne analizzata è diversa da pollo e vitello, con la carne che è in realtà un miscuglio di prodotti diversi. Nel 9 per cento dei casi poi non è possibile definire con chiarezza la natura della carne. Il Kebab poi conterrebbe tra il 98 per cento ed il 277 di sale accettabile mentre ogni panino conterrebbe tra le 1000 e le 1990 calorie.
I CONTENUTI DELLA RICERCA – Analizzando la ricerca, pubblicata nel gennaio 2009 dall’agenzia inglese Lacors, si scopre che l’allarme vero in realtà è un altro. Sul numero dei kebab studiati, 494, un quarto conteneva solamente carne di pecora mentre erano 43, quindi meno del 10 per cento, la cui composizione è sconosciuta. O meglio, è ufficialmente “no result”, “nessun risultato”. Ma questo non sembra preoccupare granché i ricercatori. La circostanza ritenuta più grave è data dalla presenza di carne di maiale nei campioni analizzati. I musulmani, come tutti sanno, ritengono tale alimento impuro. Quindi non viene etichettato. Questo però porta ad una diffusione su larga scala di un prodotto “falso”, con la conseguenza natura che è impossibile determinare con certezza quanto maiale ci sia nel doner.
LE DIFFERENZE CON IL REGNO UNITO – Non solo. E’ stata verificata una violazione generalizzata della legge inglese sull’etichettatura dei prodotti alimentari, datata 1996. Il risultato? E’ capitato che per alcuni prodotti fosse rilevata la presenza di carne non dichiarata, ed anche il contrario, ovvero che venissero certificati “ingredienti” in realtà non presenti. Per quanto riguarda invece l’apporto calorico, la ricerca elenca i dieci “kebabbari” più “pesanti” del Regno Unito, cioè quelli la cui carne è la più grassa e ricca di sale. Ma è necessario poi considerare che a differenza di quanto accade in Italia, da quelle parti i kebab vengono venduti secondo le “misure”, ovvero “piccolo”, “medio”, “grande”, con il paradosso per cui quello tecnicamente più pericoloso, ovvero il “large”, sia in realtà il più magro. Poteri del marketing.
TRA 500 E 1000 CALORIE – Mediamente quindi, al netto delle salse, un kebab medio, composto da 300 grammi di carne (e ribadiamo, parliamo di un’analisi del mercato inglese) può portare a circa 1000 calorie di fabbisogno, salse escluse, le quali rappresentano il 40 per cento delle necessità di una donna ed il 50 per cento di un uomo. Il problema quindi sta nelle quantità perché 100 grammi di kebab hanno un apporto calorico pari a 336. Sempre analisi dell’istituto inglese. Quindi vuol dire che i dati relativi ai grassi, al sale ed alla presenza dei saturi sono basati su quello che viene offerto nel Regno Unito. Tant’è che Mykebab spiega come nel nostro Paese un panino del genere garantisca un apporto calorico di circa 500 calorie. Certo parliamo comunque di numeri importanti specie in relazione alle ridotti dimensioni del panino.
LE ANALISI CONDOTTE A ROMA – Per concludere sottolineiamo poi come non vi sia alcun riferimento agli “scarti”. La ricerca inglese non parla né di cuore né di polmoni, figurarsi di occhi, a riprova di una certa superstizione nei confronti di tale alimento. A questo punto cerchiamo di capirne qualcosa in più aiutandoci con il Fatto Alimentare, il quale ci spiega quelli che possono essere i veri pericoli di un kebab a partire da uno studio realizzato dall’Istituto Zooprofilattico di Toscana e Lazio su iniziativa della tecnologa alimentare Bianca Maria Varcasia. L’analisi, pubblicata il 7 dicembre 2012 e che si è occupata 44 punti vendita romani, ha dimostrato come in alcuni kebab della capitale sia stata servita anche carne di maiale mentre in 9 di questi sono state scoperte “irregolarità di minor rilievo”.
LE SCOPERTE – L’analisi è partita appunto dalle rilevazioni condotte in Inghilterra e delle quali vi abbiamo parlato in precedenza. I servizi veterinari delle Asl hanno prelevato 44 campioni nel periodo 2010-2011 per analizzarli con la tecnologia “microarray” che consente di distinguere la presenza di carni avicole (quindi di pollo o tacchino) dalle altre, tra le quali alcune meno diffuse nel nostro Paese. 33 kebab sono risultati preparati con carne di pollo, tacchino e vitello, conformemente a quanto riportato sull’etichetta del prodotto, negli altri 11 invece le dichiarazioni non erano conformi a quanto riportato sulla “carta d’identità”. In 9 kebab non è stata trovata la carne bovina dichiarata in etichetta mentre in due è stata rilevata carne di maiale.