Qual è la differenza tra incubatori certificati e non certificati?

Queste organizzazioni si dividono in due macro-gruppi che, in linea teorica, hanno diverse differenze strutturali

20/06/2024 di Enzo Boldi

Anche se altri Paesi vanno a una velocità maggiore rispetto a noi, anche in Italia stanno prendendo piede i cosiddetti incubatori d’impresa. Quelle organizzazioni che supportano la nascita di nuove realtà aziendali, con particolare attenzione alle startup, durante le loro prime fasi di vita. Insomma, l’inizio del percorso che parte dall’idea alla messa a terra della stessa. Dunque, parliamo di organizzazioni che hanno come obiettivo quello di creare un ecosistema fecondo per quegli imprenditori che vogliono veder sviluppato il proprio progetto, anche attraverso spazi di lavoro, ricerca e approfondimenti tematici. Ne esistono di due tipi che hanno finalità e basi di partenza diverse. Proviamo a capire qual è la differenza tra gli incubatori certificati e incubatori non certificati.

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Il concetto di base è sempre lo stesso, ma l’ottenimento (a fronte di una richiesta, non obbligatoria) del cosiddetto “certificato” cambia – soprattutto – la possibilità di accesso alle agevolazioni pubbliche messe a disposizione dello Stato. Dunque, se dal punto di vista tecnico le modalità di funzionamento sembrano essere pressoché simili (ma con alcune sfumature), dal punto di vista pratico ci sono delle differenze sostanziali.

Differenza incubatori certificati e non certificati

Partiamo dai cosiddetti incubatori certificati, ovvero quelle organizzazioni che hanno fatto richiesta e ottenuto (rispettando determinati requisiti, indicati all’interno del decreto legge 179/2012 e integrati con il decreto ministeriale del 22 dicembre 2016) quella certificazione e l’iscrizione presso la Camera di Commercio. Elenchiamo quali sono gli elementi strutturali di queste realtà:

  • Riconoscimento ufficiale da parte di un’ente governativo o statale (istituzione) che garantisce, in linea teorica, una maggiore affidabilità.
  • Accesso ai finanziamenti e alle agevolazioni.
  • Obbligo di inserire all’interno dell’incubatore figure dedicate al mentoring per guidare le nuove aziende emergenti (anche startup) all’interno dell’ecosistema di sviluppo e accelerazione.

Poi ci sono gli incubatori non certificati che, per definizione, non hanno richiesto (o ottenuto) la certificazione da parte di un ente governativo o di un’istituzione pubblica. Questo, però, non vuol dire che la loro efficacia sia inferiore rispetto agli altri, portando con sé – proprio per una natura meno vincolata – anche alcuni elementi che li rendono maggiormente appetibili:

  • Maggiore flessibilità nelle operazioni, non dovendo seguire pedissequamente dei protocolli (quelli imposti dalla suddetta legge) rigidi.
  • La possibilità di intraprendere approcci più innovativi e sperimentazioni nelle fasi di incubazione di una startup.
  • Un costo inferiore, non dovendo sottostare a dinamiche imposte dall’alto.

Tre pregi che, spesso e volentieri, vengono sommersi da un “difetto” che rischia di renderli meno soggetti a un giudizio (preliminare) positivo da parte dei soggetti interessati. Un “bollino come la certificazione pubblica, infatti, è spesso individuato come un elemento di garanzia, soprattutto per quel che riguarda l’accesso al credito (pubblico o privato).

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