Con l’estensione della web tax, il governo vuole colpire i giornali online

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Entro la fine dell’anno, il Parlamento dovrà approvare la legge di Bilancio per il 2025. Il testo bollito è stato depositato dal MEF meno di un mese fa e, almeno per il momento, sono stati già presentati ben 4.500 emendamenti che, ora, sono al vaglio della Commissione Bilancio della Camera. Non tutti passeranno questo step, con il governo che spera di ridurre questo numero almeno a 600. Tra le tante proposte di modifica ce n’è una presentata da un partito di maggioranza: è Forza Italia l’unico partito a far parte dell’esecutivo ad aver presentato un emendamento per modificare le modifiche (scusate il gioco di parole) alla Digital Service Tax.



Digital Service Tax italiana colpisce i giornali online

La tassa sui servizi digitali, fino a oggi, riguarda solamente le grandi aziende del tech (con ricavi annui superiori ai 750 milioni di euro) che operano in Italia. Il testo della legge di Bilancio, invece, cancella quella soglia e obbligherà tutti le aziende che operano nel settore digitale a pagare un’imposta sui ricavi (e non sugli utili). Questo vuol dire che aumenterà la pressione fiscale nei confronti anche di piccole realtà editoriali, come i giornali online. Proprio per questo, l’emendamento di Forza Italia è importante per salvaguarda i media italiani da una norma che mette a rischio la loro stessa sopravvivenza.

Ma perché il governo ha scritto quella norma? Perché ha deciso di ampliare la platea delle aziende soggette a questa tassazione? La spinta sembra arrivare proprio dagli Stati Uniti, con il governo americano che ha sempre contestato la Digital Service Tax che - secondo loro - va a colpire solamente le grazie aziende americane. Washington ha chiesto l’abrogazione di questa norma, ma l’Italia ha risposto colpendo non solo le grandi imprese, ma anche quelle più piccole. Questo è lo scenario dell’imminente futuro, a meno che tutto non sia modificato con un emendamento