Perché la nuova “Digital service tax” italiana penalizzerebbe le PMI (e non le Big Tech)

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Ancora una volta, il governo della tutela delle imprese italiane si contraddice da solo. Sotto il macro-cappello della "sovranità digitale", l'attuale esecutivo ha più volte dimostrato di utilizzare questo concetto come bandiera propagandistica, senza mai restituire una reale legislazione in grado di garantire tale tutela alle aziende (soprattutto alle piccole e medie) nostrane. E la storia sembra ripetersi anche con il varo della nuova "Finanziaria" che dovrà essere approvata dal Parlamento entro la fine dell'anno. Infatti, nella bozza che sarà in discussione nelle prossime settimane è prevista una revisione della cosiddetta "Digital Service Tax" (quella che un tempo era chiamata "Web Tax"), con la cancellazione delle soglie di fatturato - sia a livello mondiale e che nazionale - che equipara le grandi aziende internazionali del settore alle PMI. In termini di aliquota. LEGGI ANCHE >Il governo vuole allargare le maglie della tassa sui servizi digitali Il concetto di Digital Service TAX (DST) è stato introdotto nel nostro Paese con la legge 160/2019, ovvero con la manovra finanziaria entrata in vigore a partire dal 1° gennaio del 2020. Come spiega il portale dell'Agenzia delle Entrate - che mostra anche il campo di azione e i servizi soggetti a questa tassazione -, la norma prevede un'aliquota fissa del 3% sui ricavi globali e nazionali delle imprese che si occupano di fornire servizi digitali. Nello specifico, le soglie minime attualmente in essere sono: 750 milioni di euro di ricavi a livello globale (non solo per le singole azienda, ma anche per le holding) e 5,5 milioni di euro di ricavi da servizi digitali accumulati nell'anno sul territorio italiano.

Digital Service Tax penalizzerebbe le PMI italiane

Dal prossimo 1° gennaio - qualora il Parlamento confermasse quanto scritto nella bozza della legge di Bilancio e non intervenisse con emendamenti per modificare quanto già deciso dall'esecutivo -, questa aliquota fissa potrebbe essere applicata a ogni singola azienda che offre servizi digitali nel nostro Paese. A prescindere dal proprio fatturato. Dunque, parliamo potenzialmente anche delle startup o di quelle realtà che sono da poco entrate all'interno dell'ecosistema delle PMI nostrane. Il trattamento che sarà riservato a loro sarà lo stesso già in vigore - dal 2020 - alle grandi aziende (anche multinazionali) che operano nei servizi digitali del web. L'aliquota del 3% si applicherà sul loro fatturato annuo, a prescindere dal reale valore economico dei loro ricavi. Si tratta di una mossa che potrebbe affossare un settore già in difficoltà, con l'Italia che da sempre è un terreno poco fecondo - soprattutto se paragonato agli Stati Uniti - per le aziende che propongono innovazioni nel settore del digitale e del tech. Il rischio concreto è quello di azzerare la possibile - e già complicatissima - concorrenza alle grandi aziende multinazionali, la cui tassazione resterebbe la stessa e rapportata a ricavi annui già elevatissimi.