Cosa ne sarà dei piccoli editori?
Se è vero, come dice Google, che il suo test non influisce sull'equo compenso, occorre sottolineare come non tutte le testate - soprattutto le più piccole - abbiano trovato e siglato accordi in quella direzione
18/11/2024 di Enzo Boldi
All’inizio dello scorso mese di marzo, c’è stata una piccola-grande vittoria per i giornali online. Il Consiglio di Stato, infatti, ha ribaltato la decisione del TAR di bloccare il regolamento AGCOM sull’equo compenso agli editori. Sulle linee-guida c’erano moltissime perplessità, ma dal momento che il più altro grado di giudizio su questioni “amministrative” si era pronunciato in un determinato modo, ci si attendeva un adottamento in modo molto più risoluto dei contratti di “licenza” che i social network e i motori di ricerca devono sottoscrivere (con annesso quantitativo economico quantificato) con i vari gruppi editoriali italiani. E, invece, i piccoli editori si trovano ad affrontare una vera e propria giungla per trovare la quadra prevista anche dalla normativa europea, mentre per i “grandi” tutto è stato più semplice.
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Il recente test messo in piedi da Google è la conferma di quanto ci sia una disparità nella gestione dell’equo compenso agli editori. Perché è stata la stessa azienda, con un post nel blog ufficiale, a spiegare:
«Una volta terminato il test, i contenuti editoriali saranno mostrati nuovamente come in precedenza. Nel corso del test non ci sarà alcun effetto sulla retribuzione degli editori in linea con la Direttiva Europea sul Copyright».
Ma cosa ne è stato di quei giornali online che non hanno siglato alcun accordo per l’equo compenso? Ed è proprio questo il vulnus della questione. I grandi editori sono stati i primi a essere contattati dalle aziende Big Tech per siglare accordi. Ancor prima dell’entrata in vigore del Regolamento AGCOM. I piccoli, sono ancora in attesa di vedere riconosciuto quanto richiesto e di trovare un posto al tavolo delle trattative.
Equo compenso agli editori, cosa ne sarà dei piccoli?
L’evidenza è arrivata nel mese di luglio, quando l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni si è esposta sulla questione che riguardava l’equo compenso agli editori che Microsoft dovrà versare al Gruppo Gedi per ospitare i contenuti editoriali de La Repubblica, La Stampa e degli altri quotidiani online della holding sul motore di ricerca Bing. Un caso isolato. Un singolo caso. Per tutti gli altri, c’è un modulo da compilare per fare un’istanza e provare a sedersi al tavolo della trattativa con le Big Tech. Con ogni singola Big Tech. Un campo minato che divide il mondo del giornalismo verso una pluralità ancor più limitata rispetto a quanto già appare. Con i grandi messi in prima linea e quel substrato di piccoli editori – che rappresentano le fondamenta del giornalismo online – in attesa.