Quali sono le basi dell’inchiesta sulla presunta evasione fiscale da 870 milioni di Meta?
La Procura di Milano contesta a Meta 870 milioni di evasione fiscale relativamente all'utilizzo dei dati degli utenti. Quali sono le basi dell'indagine?
23/02/2023 di Ilaria Roncone
Il mondo così come lo conosciamo, quello in cui le Big Tech che offrono servizi gratuiti – i famosi social network che sono e avrebbero dovuto rimanere sempre gratis, per intenderci – potrebbe cambiare radicalmente. La Procura di Milano sta indagando su Meta per evasione fiscale: questa è la notizia che, andando ad approfondire e a ricostruire il percorso che ci ha portato fin qui – come faremo oggi nel nostro monografico dedicato all’evasione fiscale Meta e a tutte le implicazioni -, potrebbe portare a un rimescolamento delle carte in tavola tale che Meta e le altre piattaforme social dovrebbero pagare le tasse arretrate a partire dal 2015.
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Evasione fiscale Meta: i dati come merce alla base dell’inchiesta
Ad accendere un faro sull’inchiesta in corso – che potrebbe portare a una battaglia legale storica e che è frutto di una sentenza del Consiglio di Stato del 2021 – è stato Il Fatto Quotidiano. Nel cartaceo di oggi viene dato ampio spazio, infatti, all’inchiesta della Procura di Milano su spinta di quanto fatto della Procura Europea (Eppo). Per il solo 2021 vengono contestati a Meta 220 milioni di IVA non pagata che – se l’accusa mossa dall’inchiesta si rivelerà fondato – potranno diventare 870 milioni per il lasso di tempo che va dal 2015 al 2021.
Quale è l’accusa mossa? In sostanza, Meta non informerebbe immediatamente gli utenti rispetto al fatto che i loro dati vengono utilizzati – pur nel rispetto delle norme legate alla privacy – per pratiche commerciali portando, in sostanza, guadagni all’azienda. Un rapporto del genere implica che l’utente e la piattaforma a cui cede i suoi dati siano coinvolti in una permuta, un tipo di rapporto che è soggetto al pagamento dell’Iva (quel famoso 22% in Italia). In tale ottica, i dati potrebbero essere considerati merce a tutti gli effetti quindi. E tanti saluti al concetto dei social che, rimanendo in superficie, sono sempre apparsi come gratuiti in tutto il mondo.
Questa interpretazione è stata contestata da Meta che, in uno statement dedicato, ha fatto sapere che – pur prendendo sul serio gli obblighi fiscali che ha nei Paesi in cui opera – non ritiene sensato che l’accesso degli utenti sulle piattaforme debba essere soggetto a Iva.
I dati personali in chiave fiscale e le conseguenze per i social
I dati che forniamo ai social, quindi, assumerebbero un peso fiscale per la prima volta e questo – ovviamente – avrebbe un peso non solo per Meta e le sue piattaforme ma anche per tutti gli altri colossi di settore (da TikTok a Twitter passando per Google). I dati come merce dovrebbero portare, tramite la tassazione Iva, a un ritorno per lo Stato.
E non solo a uno Stato, ovviamente, ma 27 – considerato che tanti sono i membri dell’Unione Europea -. Se nel caso di Meta si tratterebbe di 220 milioni solo nel 2021, qualora il sistema dovesse passare essendo effettivamente applicato, ogni social dovrebbe pagare dal 2015 a oggi cifre di questa portata a ogni Stato europeo.