«Piracy Shield progettata da chi non conosce la rete»

Abbiamo intervistato Gianbattista Frontera, Presidente di Assoprovider, per parlare del ricorso presentato contro la sanzione Agcom e delle criticità della piattaforma anti-pirateria

12/07/2024 di Enzo Boldi

C’è una realtà che fin dall’inizio – quindi fin dall’approvazione della legge – ha messo in evidenza le criticità e le problematiche tecniche e strutturali della piattaforma Piracy Shield. Si tratta di Assoprovider, la principale associazione che rappresenta i Service Provider italiani. La loro battaglia prosegue da mesi, con tanto di ricorso al Tar in seguito a una sanzione amministrativa comminata da Agcom per “aver ostacolato l’attività di vigilanza”. Di questo e di altro ne abbiamo parlato con il Presidente Gianbattista Frontera.

LEGGI ANCHE > Come funzionerà (?) Piracy Shield 2.0

In attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato, le critiche di Assoprovider all’ecosistema che circonda e di cui si nutre Piracy Shield proseguono. Partendo proprio da quella sanzione per non aver comunicato ad Agcom l’elenco dei provider iscritti all’associazione. Ma questo è solamente il “fatto di cronaca” che racconta solamente una parte di una contesa iniziata diversi mesi fa e che proseguirà ancora nel tempo. Perché se è ovvio che la pirateria sia un problema (non solo italiano), occorre comprendere se le decisioni legislative in atto siano quelle giuste.

Prima di entrare nello specifico, Gianbattista Frontera ha commentato l’indagine FAPAV-Ipsos in cui sono contenuti i dati della pirateria in Italia: «Che ci sia stata un’ondata sul pezzotto appare evidente, ma non è endemica così come dicono. Tra l’altro, io vorrei sottolineare come con Amazon Prime, Netflix, Paramount Channel e gli altri che hanno dei costi relativamente bassi, la gente non si mette a scaricarli. Paga qualche euro al mese, sta tranquillo, e ha novità, preview e tutto quanto». 

Gianbattista Frontera (Assoprovider) su Piracy Shield

Inoltre, gli indicatori di quell’indagine sottolineano che – ancor prima dell’entrata in vigore dello scudo anti-pirateria – il download di contenuti audiovisivi e la visione non autorizzata di altri eventi trasmessi da chi detiene i diritti sono in calo rispetto agli anni scorsi (addirittura si segna un -52% rispetto al 2016). Ma il governo e Agcom proseguono dritti sulla loro strada, portando avanti – anzi, rinnovando – l’impegno della piattaforma Piracy Shield.

I problemi, secondo il Presidente di Assoprovider, hanno un’origine profonda: «Io penso che sia stata progettata da chi la rete non la conosce. C’è un retro-pensiero che ritiene di poter circoscrivere delle problematiche a livello di territorio italiano. La rete non è così: quando hai dei provider stranieri che assegnano degli indirizzi IP bloccati in Italia, significa che tu non hai capito proprio nulla di come funziona la rete. È una legge nata male, votata peraltro all’unanimità». Dunque, alla base del cattivo funzionamento (e della scarsa trasparenza) della piattaforma Piracy Shield c’è una non conoscenza della materia da parte del legislatore: «Posso capire che a livello tecnico non tutti siano “skillati”, però, voglio dire, informatevi. Tutti sono fermi soltanto al sommario, “combattiamo la pirateria”, ma non si fanno una domanda: “come?”. Magari dando più soldi alla Polizia postale, magari facendo formazione, magari incentivando la collaborazione tra polizie a livello internazionale».

Gianbattista Frontera, nel corso della sua intervista a Giornalettismo, ha più volte sottolineato come la lotta alla pirateria sia sacrosanta, ma ha sottolineato anche che la soluzione adottata sia del tutto estranea al reale funzionamento della rete Internet: «Tu blocchi un IP (anche per quel che riguarda il “pezzotto” stesso), ma chi trasmette in modo illegale ci mette sei secondi esatti a spostare tutto su un altro IP. Sono panicelli caldi, non risolvono il problema. Anzi, ne creano altri a effetto domino. Per cosa? Per un’ignoranza di fondo, nel senso letterale della parola, cioè non conoscere, legiferare e regolamentare su cose che non conosci. Tutto questo è incredibile». 

Il ruolo dei privati

Lo stesso sentimento è rivolto a un altro degli aspetti fortemente contestati fin dall’inizio sul funzionamento (tecnico e per legge) della piattaforma anti-pirateria: «C’è anche un altro passaggio che fa accapponare la pelle: le decisioni sono prese da privati. Le segnalazioni vengono fatte, il controllo non c’è perché ci sono tempi tecnici velocissimi, 30 minuti. Non c’è proprio il tempo tecnico di andare a verificare. Questa, secondo me, è una sorta di privatizzazione della sicurezza ed è un precedente molto pericoloso. Senza contare poi che una piattaforma che adesso si occupa di pirateria per contrastare l’abuso contro il diritto d’autore un domani potrebbe controllare una campagna elettorale a livello politico. Seriamente, vogliamo andare in questa direzione? È questo quello che vogliamo? Io francamente rimango allibito». 

Ma non finisce qui, visto che tra le tante criticità emerse fin dall’inizio, c’è anche quella relativa alla scarsa trasparenza comunicativa: «Poi, tra l’altro, tutto fatto in maniera totalmente critica – ha sottolineato Frontera -. Di solito, nel caso di una piattaforma pubblica, il codice deve essere disponibile. In questo caso non è stato messo a disposizione e c’è stato un hacker che è riuscito ad entrarne in possesso, pubblicandolo su Github».

Lo scudo 2.0

Ed eccoci all’attualità più stretta. La Serie A è ferma per la pausa estiva e dello scudo anti-pirateria si è smesso di parlare su molti fronti (tranne che sui social). Ma proprio nelle scorse settimane, Agcom ha annunciato l’imminente arrivo (entro la fine del 2024) di un’evoluzione che, tra l’altro, sarà finanziata con due milioni di euro dallo Stato. Quindi, con fondi pubblici. Ergo, saremo noi cittadini a pagare (indirettamente) affinché questo strumento/piattaforma prosegua nel suo “funzionamento”. Anche su questo, Gianbattista Frontera non può che esser critico: «Dalla fine dell’anno, arriverà la piattaforma Piracy Shield 2.0, con un finanziamento statale pari a 2 milioni di euro l’anno. Pensate che questo la renderà più affidabile? No, non lo diventerà. Si buttano via più soldi e basta. Penso che si faranno danni esponenziali maggiori questo punto di vista. Vogliamo investire? Facciamolo nel contrasto alla pedo-pornografia, traffico di droga e armi come avviene nella rete. E invece, lo fanno sul calcio. L’Italia è una Repubblica non fondata sul lavoro, ma sul calcio».

Share this article