L’interoperabilità del DMA si mette di traverso rispetto ad Apple Intelligence

È questo il punto di contrasto che impedisce ad Apple di introdurre Apple Intelligence in Europa. Ma è paradossale che c'entri di più la concorrenza che non la sicurezza dell'utente

24/06/2024 di Gianmichele Laino

Partiamo da questa premessa: abbiamo un problema molto serio perché, per la prima volta, Apple – volendo introdurre il suo sistema di intelligenza artificiale denominato Apple Intelligence – deroga al suo principio ferreo di consentire delle attività all’esterno del suo device. I livelli di intelligenza artificiale proposti da Cupertino, infatti, saranno di due tipi: il primo, molto più basico, punterà su una implementazione di Siri che potrà migliorare attraverso l’apprendimento automatizzato (questa cosa avverrà all’interno del device della Apple); il secondo, molto più complesso, riguarda l’AI generativa, che – per i volumi di dati decisamente maggiori – avrà bisogno di un server esterno per poter essere gestita. Questo aspetto fa uscire l’utente dall’ecosistema protetto del suo device ed espone i suoi dati al trattamento di una terza parte, come può essere OpenAI che – secondo gli accordi illustrati da Apple – dovrebbe mettere a disposizione la tecnologia per consentire questa operazione. Il che potrebbe rappresentare uno storico vulnus di sicurezza per i dispositivi della Apple, il cui alto livello di protezione era proprio assicurato dal fatto di agire in un ecosistema chiuso, senza possibilità di intrusioni dall’esterno. L’intelligenza artificiale generativa, invece, causerà per la prima volta una fuoriuscita da questo stesso ecosistema. Eppure, paradossalmente, gli ostacoli che l’Unione Europea frappone allo sbarco di Apple Intelligence in ambito comunitario non riguardano la sicurezza informatica, ma la concorrenza sul mercato.

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Interoperabilità Apple Intelligence: il problema del DMA

Il Digital Markets Act impone a tutti i cosiddetti gatekeeper di prestare dei servizi che non chiudano alla possibilità di far scegliere agli utenti un altro servizio proposto da un’azienda concorrente. Il caso di scuola principale è quello rappresentato dagli app store: Apple – così come Google – hanno dovuto dare la possibilità all’utente di scegliere servizi di terze parti per l’acquisto delle app da scaricare sul proprio device, in ossequio al principio dell’interoperabilità proposto dal Digital Markets Act.

Dunque, il problema di Apple Intelligence sarebbe quello di non consentire a nessun altro – al di fuori di OpenAI con cui Cupertino ha stretto un accordo – di prestare un servizio analogo. E non importa se Apple ritiene che l’accesso ad altre terze parti metterebbe ulteriormente a rischio la sicurezza dei dati dell’utente: l’Unione Europea, per tutelare la concorrenza, ritiene che si debba allargare il servizio ad altri soggetti. Al massimo, il problema della privacy e delle presunte violazioni del trattamento dei dati personali dovrà essere normato da altri provvedimenti UE.

Il principale ostacolo, al momento, è il fatto che Apple Intelligence non garantisca sufficiente concorrenza, non quello che metta a rischio un solido principio di sicurezza. Ed è piuttosto strano che, dal momento che Apple Intelligence è un sistema lanciato quando il Digital Markets Act era già entrato in vigore, Cupertino non abbia pensato a una ipotetica soluzione per bypassare il problema legislativo. A meno che questo non sia un indizio rispetto alla decisa (e calcolata) volontà di rinunciare al potenziamento dei servizi per i 450 milioni di potenziali utenti dell’UE, una sorta di ricatto per costringere le istituzioni europee a rivedere le loro normative.

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