Solo qualche settimana fa, è andata in scena una vastissima operazione internazionale - denominata Taken Down - che ha messo in ginocchio un’enorme rete illegale in grado di trasmettere illecitamente eventi sportivi in diretta, film e serie tv. Nelle scorse ore, un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza, su delega della Procura della Repubblica di Napoli, ha smantellato un IPTV italiano. Anzi, l’IPTV illegale appena chiuso era quello che aveva il maggiore share nel nostro Paese, con oltre 6mila utenti che pagavano abbonamenti mensili da 10 euro (o 80 euro all’anno) per accedere e tutti quei contenuti diffusi da Dazn, Netflix, Sky, Disney+ e altre piattaforme. Il tutto è avvenuto senza che il Piracy Shield abbia avuto alcun ruolo in queste due operazioni.
Due eventi nel giro di pochi giorni che hanno messo in evidenza un punto fondamentale: operazioni dirette di questo tipo hanno una maggiore efficacia rispetto all’intero impianto del sistema dello scudo anti-pirateria gestito da Agcom e basato sulle segnalazioni dei detentori dei diritti di trasmissione audiovisiva del campionato di calcio di #SerieA. E la spiegazione, fornita dalla Guardia di Finanza, è semplice: gli IPTV illegali utilizzano link dinamici che procedono con il re-indirizzamento del traffico in caso di chiusura o oscuramento. Insomma, bloccando gli IP o i DNS non si risolve il problema e si rischia, come già accaduto, di colpire “siti innocenti”.
Ma cosa rischia, ora, chi ha utilizzato questi sistemi illegali? Si parla esclusivamente di una sanzione economica che parte dai 154 euro e può arrivare fino a un massimo di 5mila euro. Ma la soglia massima è prevista solamente in caso di recidiva o per un numero considerevole di contenuti coperti da copyright di cui si è entrati in possesso. Una metrica molto difficile da stabilire, dunque la maggior parte dei 6mila utenti riceverà la sanzione minima, il cui costo è inferiore a un abbonamento annuale a Dazn. Un vero paradosso.