L’algoritmo di X modificato per penalizzare i post con i link (e far crescere la disinformazione)

Per quanto quella di penalizzare i link sui social sia una tendenza di tutte le piattaforme, la combo con la scarsa moderazione crea un mix letale su X per la disinformazione

26/11/2024 di Gianmichele Laino

In verità, la tendenza era stata notata – da chi fa informazione quotidianamente – da diversi giorni. Seguendo una tendenza che, del resto, appartiene anche ad altre piattaforme, Elon Musk (come abbiamo evidenziato nell’articolo di apertura del nostro monografico di oggi) ha deciso di penalizzare quei post su X che, al loro interno, contengono un link. È lo stesso patron di Tesla (oltre che del social network) a definire questo tipo di post “pigro” e a suggerire, di realizzare un post principale e di aggiungere poi il link nella stessa risposta. La questione dei link su X penalizzati, dunque, assume i connotati dell’ufficialità:

Link su X, la penalizzazione per i post definiti “pigri” da Musk

Ne abbiamo parlato più volte anche su Giornalettismo: è dal 2021 almeno che le principali piattaforme social stanno cercando di indurre gli utenti a pubblicare sui loro feed dei contenuti originali, evitando il ricorso a link esterni. Si tratta di una sorta di “segreto di Pulcinella” di cui tutti hanno iniziato a servirsi da quando è esploso TikTok, tra il 2019 e il 2020. In effetti, la piattaforma made in ByteDance ha sempre creato moltissimi ostacoli all’utente che avesse avuto intenzione di uscire dalla piattaforma, seguendo un link pubblicato in abbinata a un contenuto di un content creator, ad esempio. Da quel momento in poi, il tempo di permanenza sul social network è diventato un valore imprescindibile, ricercato da tutti i board di tutte le piattaforme.

È proprio su questo presupposto che si basa la metamorfosi dei social network che, un tempo, rappresentavano indiscutibilmente delle vetrine per gli editori, ma che adesso non lo sono più. Per avere visibilità sui social network, infatti, l’editore è stato costretto a pensare a una strategia di pubblicazione alternativa, a tutto beneficio della piattaforma (che aumenta così i suoi contenuti esclusivi) e con conseguente penalizzazione della monetizzazione diretta che deriva dal numero di utenti e di visualizzazioni sui siti proprietari.

Elon Musk, diciamo così, ha seguito questa tendenza. Lo ha fatto in concomitanza con quello che è sembrato a tutti gli osservatori un cambio strutturale dell’algoritmo nel corso di questo 2024. Uno studio della Queensland University of Technology ha dimostrato come i meccanismi di raccomandazione dei contenuti individuati da Musk siano stati progettati per favorire i suoi post e quelli di ambienti conservatori (non necessariamente politici, ma anche opinionisti, commentatori, opinion leader). E questo già potrebbe configurarsi, come abbiamo scritto in altri passaggi su Giornalettismo, come una vera e propria ingerenza nell’orientamento dell’opinione pubblica in vista delle elezioni americane.

Non solo penalizzazione dei link: l’assenza di moderatori favorisce lo sviluppo delle fake news

Se a tutto questo aggiungiamo che da tempo, ormai, Elon Musk ha messo su una vera battaglia con le istituzioni europee per depotenziare il ruolo della moderazione sul suo social network (arrivando anche allo scontro istituzionale e sicuramente riducendo di molto il numero di dipendenti dedicati a questa attività, da quando è diventato proprietario della piattaforma), comprendiamo come X sia l’habitat naturale per l’evoluzione e per la diffusione delle false informazioni. Depotenziare i link, infatti, significa sicuramente depotenziare il ruolo del giornalismo professionale: chi pubblica link, normalmente, fa parte di una redazione che documenta i propri articoli, che cita le fonti, che ha una certa seniority per poter parlare di un determinato argomento. Al contrario, favorire i post nativi significa dare spazio e voce a utenti comuni. Nobile intento, certo, fino a quando questi utenti non abbiano intenzione di avviare, come successo già in passato, campagne di disinformazione o complottiste. Basta che uno di questi utenti abbia una maggiore costanza di pubblicazione, magari che paghi anche l’abbonamento per avere la spunta blu e che realizzi contenuti ad hoc per la piattaforma per avere una visibilità decisamente più alta rispetto a quella di una qualsiasi testata giornalistica.

Il tutto in un momento in cui diversi editori, per protestare con il ruolo che Musk ha avuto nelle elezioni americane, hanno scelto di abbandonare X. Insomma, il combinato disposto di tutti questi elementi non fa altro che rendere X la piattaforma più adatta per lo sviluppo della disinformazione. In un momento storico come questo, non è affatto un bene.

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