Non Meta che per il suo consent or pay si comporta esattamente come gli editori italiani
Lo schema seguito da Meta è quello inaugurato, ormai quasi due anni fa, dal Corriere della Sera, non appena è cambiata la normativa relativa ai cookies
13/11/2024 di Gianmichele Laino
Quando nel 2022 era stata approvata una nuova direttiva europea in termini di cookies ed erano state messe nero su bianco le linee guida dei Garanti per vigilare sulla sua applicazione, il mondo dell’editoria – lo ricordiamo bene – si trovò sufficientemente spiazzato. Una delle principali fonti di guadagno, infatti, per chi metteva a disposizione gratuitamente dei contenuti online era proprio la profilazione dell’utente che, accettando i cookies, poteva essere targettizzato, con la conseguenza che le concessionarie pubblicitarie potevano ottenere maggiori informazioni per i loro annunci mirati, con maggiori probabilità di conversione. Da quel momento in poi, si affacciò anche sui siti web italiani il sistema del cosiddetto consent-or-pay. Dal momento che l’utente aveva il diritto di poter rifiutare i cookies di tracciamento, l’editore doveva trovare una soluzione alternativa per evitare di cedere i propri contenuti senza alcun compenso (nemmeno quello indiretto derivante dalla profilazione pubblicitaria dell’utente). Così, tra i pionieri del consent-or-pay, ci fu il Corriere della Sera che chiedeva ai propri lettori un abbonamento in cambio di una navigazione libera da profilazione. Se l’abbonamento non fosse stato sottoscritto, ecco allora che per l’utente ci sarebbe stata la possibilità di navigare sui contenuti non a pagamento del sito, accettando però i cookies di tracciamento.
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Meta editore: si comporta esattamente come un distributore di contenuti grazie al suo sistema content-or-pay
All’epoca dei fatti, la soluzione ci era sembrata borderline, anche perché i Garanti – in concomitanza con l’uscita di questi primi banner consent-or-pay – non sapevano inquadrare correttamente il problema. Successivamente, grazie al loro via libera, la soluzione consent-or-pay è diventata quella maggiormente adottata dai produttori di contenuti, incentivando anche l’ecosistema del paywall e degli articoli (o dei materiali multimediali) accessibili soltanto attraverso la sottoscrizione di un abbonamento.
Quello che ha fatto Meta in ottemperanza al Digital Markets Act era già abbondantemente nel solco di questa soluzione: se gli utenti di social come Facebook o Instagram avessero voluto rinunciare alla cessione dei loro dati personali, avrebbero dovuto pagare un abbonamento che – fino a questo momento – era stato del tutto in linea con le cifre previste dagli editori europei. Adesso, però, Meta ha alzato la posta: abbassando il costo dell’abbonamento (e avvicinandolo molto a quello di un OTT), non solo si comporta come un qualsiasi editore europeo, ma cerca anche – forte di una posizione economica dominante – di proporre servizi in maniera molto più concorrenziale.
La vecchia storia di Meta che non vorrebbe essere paragonato a un editore ma che in realtà lo è prende ancora più corpo.