Multare gli utenti che usano il “pezzotto” è più facile a dirsi che a farsi

Nonostante l'ostentata sicurezza da parte di AGCOM, ci sono molte perplessità sia sulle tecniche che sulle modalità

23/09/2024 di Enzo Boldi

Come abbiamo sempre ribadito nei nostri approfondimenti legati al Piracy Shield e alle sue evoluzioni, debellare la pirateria è un obiettivo legittimo e sacrosanto. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo – fin da quando la piattaforma è entrata in funzione – abbiamo, però, messo in evidenza una serie di criticità che non possono essere sottovalutati. Il raggio – fin troppo ampio – del sistema ha, infatti, provocato una serie di problematiche anche nei confronti di persone “innocenti” che avevano come unica colpa quelle di avere (senza alcuna contezza) il proprio prodotto digitale su uno stesso IP utilizzato dai “pirati” dell’audiovisivo. E oggi, dopo l’annuncio delle imminenti multe contro chi usa il pezzotto IPTV, stanno emergendo nuove perplessità.

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Occorre una breve premessa: chi si “abbona” a una piattaforma IPTV è consapevole di compiere un’azione illegale. Si tratta di utilizzo di contenuti protetti da diritto d’autore (nel caso specifico di diritti per la trasmissione audiovisiva delle partite del Campionato di calcio di Serie A). Dunque, è legittimo applicare la legge (non solo la numero 93 del 2023 che ha dato il via al progetto PIracy Shield, ma anche a tutte le precedenti che riguardano la protezione del diritto d’autore) per punire non solo chi “trasmette”, ma anche chi usufruisce consapevolmente di quei contenuti.

Multe contro chi usa il pezzotto, tutte le perplessità

Le nostre perplessità, però, riguardano le modalità annunciate nelle scorse ore da AGCOM – attraverso le parole del Commissario Massimiliano Capitanio -, in cui si parla di un protocollo in grado di semplificare e “automatizzare” le multe contro chi usa il pezzotto. Si sostiene che questa intesa tra la Procura Generale di Roma, la stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e la Guardia di Finanza sia la soluzione rapida a tutti i mali. Facile a dirsi, più difficile a farsi. In realtà, in questa dinamica raccontata in modo piuttosto semplicistico si omette il coinvolgimento da parte di moltissimi altri attori protagonisti.

Si parla di incrocio dei dati delle carte di credito utilizzate per “abbonarsi” ai servizi di streaming illegali, senza mai tirare in ballo – per esempio – il ruolo dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (Garante Privacy). Occorre l’accesso anche ai log dei provider per procedere a questa identificazione e incrocio con i dati di pagamento. Infine, c’è la certezza della colpevolezza: con quale grado di sicurezza si multa un utente in base all’utilizzo di una carta di credito? E se quel metodo di pagamento fosse stato utilizzato da altri (anche un familiare) e non dal titolare della carta? Queste risposte non sono contenute né nella legge entrata in vigore nell’agosto dello scorso anno, né nelle delibere di AGCOM. Eppure si è dato l’annuncio senza pensare a ciò che realmente potrebbe accadere. Sempre in modo troppo semplicistico.

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