Siete disposti a rinunciare a Internet per tutelare il calcio?

Siamo arrivati a una situazione paradossale e controversa. La politica non conosce il funzionamento di Internet, eppure vuole legiferare. Ma questo accade solo quando ci sono interessi di aziende che fatturano miliardi ogni anno

26/09/2024 di Enzo Boldi

Il diritto d’autore viene violato continuamente e tutti ne siamo vittima. Eppure non abbiamo mai visto la politica italiana alzare gli scudi e fare battaglie parlamentari per reprimere queste dinamiche che – anche dal punto di vista legislativo – sono illecite nel nostro Paese. Ma se si tocca “l’azienda” calcio – in tutte le sue sfaccettature – ecco che si arrivano a proporre delle normative che somigliano molto a quelle di regimi illiberali come la Cina, la Corea del Nord e altri esempi simili. Ovviamente siamo i primi a sottolineare come la lotta alla pirateria audiovisiva sia una battaglia da compiere per debellare questo male diventato ormai atavico nella società moderna. Per farlo, però, occorrerebbe conoscere la rete e non seguire trend elettorali o mossi da interessi dei singoli per poi procedere con emendamenti per un nuovo Piracy Shield.

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Sì, il titolo può sembrare populista quando sosteniamo che l’azienda calcio sia l’insieme di una serie di aziende milionarie. Ma è la realtà dei fatti. Quando si legifera, come in questo caso, e si parla di temi ad ampio spettro come quello della lotta alla violazione del diritto d’autore, occorre conoscere le dinamiche di questo “mercato”. Innanzitutto partendo da una domanda: perché molti italiani scelgono il “pezzotto”o le IPTV illegali per guardare la Serie A? La risposta è semplice: abbonarsi a una pay TV è costoso e per guardare tutte le partite (comprese le Coppe Europee) occorre districarsi in una vera e propria giungla di operatori. Ognuno di loro detiene una parte dei diritti, obbligando gli appassionati a sottoscrivere abbonamenti a più piattaforme. Poi c’è anche l’inflazione: gli stipendi medi non aumentano, mentre i prezzi (degli abbonamenti, in questo caso) continuano a salire. E il prodotto offerto (cioè il calcio) non è che sia migliorato. Neanche nella fruizione.

Nuovo Piracy Shield, la politica “protegge” solo il calcio

Populista è anche la politica, compresa quella che amministra l’azienda calcio in Italia. Ascoltiamo amministratori delegati che redarguiscono chi spende soldi per seguire la propria squadra in TV dicendo loro che devono sentirsi fortunati a pagare così poco per gli abbonamenti rispetto agli altri Paesi. Vero, ma solo in parte: altrove gli stipendi medi annui sono superiori e il peso dell’inflazione è minore. Dunque, una visione completamente orba che viene confermata dai due emendamenti di cui abbiamo parlato oggi, quelli relativi alle modifiche per rafforzare e creare – di fatto – un nuovo Piracy Shield.

Due strette proposte – saranno votate all’interno del decreto Omnibus (che non ha nulla a che vedere con questi temi, e questo fa capire quando pressappochismo ci sia nella politica nostrana) – con il primo che dimostra di non conoscere cosa sono gli indirizzi IP e il loro funzionamento e il secondo che prevede una sorta di censura basata sul mero “sospetto” che si stia commettendo un’attività illecita. Di fatto, si vuole sfasciare Internet e il suo funzionamento.

Potremmo anche sorvolare sul fatto che questa duplice proposta sia stata avanzata da tre senatori che di professione fanno/hanno fatto il bancario, il medico epidemiologo e l’assicuratrice. Ma visto che c’è il rischio che vengano approvate delle norme che cancellerebbero il funzionamento di Internet (con gli ISP che potrebbero tirare i remi in barca e salutare il Paese), forse occorrerebbe che alla base della regolamentazione della rete ci fossero personalità che sono a conoscenza del funzionamento dell’ecosistema web. Senza agire per “sentito dire” ricevendo e interpretando liberamente le richieste mosse da un’azienda milionaria (il calcio) che da tempo ha perso la sua funzione ludica e gioca sulla passione dei tifosi solo per fatturare.

 

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