Dei dossier per provare che chi fa disinformazione lucrandoci sopra commette reato
Nasce un nuovo progetto firmato Paolo Tuttotroppo con la collaborazione di Claudio Michelizza e di ParadoxOrama per portare all'attenzione della polizia i reati di chi fa disinformazione
27/05/2021 di Ilaria Roncone
Paolo Tuttotroppo (che poi sarebbe Andrea) ha deciso di investire energie in un progetto con uno scopo ben preciso: contrastare i bias cognitivi e le pretese, da parte delle persone, di dire la loro e avere opinioni su cose che non conoscono minimamente. Contro il complottismo e contro le fake news Paolo ha deciso di agire – insieme a Claudio Michelizza di Bufale.net e ParadoxOrama – canale Youtube che descrive i paradossi della società – con un progetto ad hoc che parte dall’attività di debunking e mira, facendo nomi e cognomi, ad arrivare direttamente alle autorità competenti.
«Io sono un avvocato e ho aperto la mia pagina quasi per gioco, qualche anno fa. La pagina (che si occupa di fare prevenzione, ovvero far capire alle persone come non cadere vittima delle fake news e dei complottismi n.d.R) ha preso piede, soprattutto quando è esplosa la pandemia, con la teoria della montagna di cacca che ci ha costretto un po’ tutti a concentrarci sull’argomento – spiega Paolo Tuttotroppo ai microfono di Giornalettismo – Ogni giorno usciva una bufala nuova e io, facendo questo lavoro, mi sono reso conto che limitarsi a fare fact checking e a sbugiardare le notizie, considerati meccanismi come i bias cognitivi e perché tendiamo a credere a certe cose pseudoscientifiche senza prove, non è sufficiente con chi ormai è convinto di qualcosa».
Il succo del discorso è che chi ha bias cognitivi troppo radicati non può essere smosso. «Le cose possono essere spiegate con tutte le prove del mondo ma loro non ne escono. Fare fact checking ha senso per coloro che hanno dei semplici dubbi e non sanno bene come orientarsi, ed è fondamentale, ma la deriva della disinformazione non si ferma se non si attacca chi produce queste notizie e ci lucra sopra».
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Paolo Tuttotroppo mira a coinvolgere le forze dell’ordine
«Il solo modo è stimolare le autorità. Quello di cui mi rendo conto è che le forze dell’ordine non si occupano tanto di questo problema. Quando si parla di diffamazione allora uno si prende la briga di andare a denunciare, se uno commette un reato contro l’ordine pubblico – come il procurato falso allarme – quale cittadino si prende la briga di andare a perdere una mattinata in procura per fare una denuncia? Non lo fa nessuno. Lo dovrebbero fare le autorità che però, secondo me, in questo momento non sono così sensibilizzate sul problema.
La mia idea era, visto che sono un avvocato, quella di mettere insieme le due cose e di iniziare a farlo io. Raccolgo materiale di persone che fanno danno, che dicono nel bel mezzo di una pandemia che i vaccini e le mascherine non servono e fanno male e che istigano la gente a non proteggersi. Gente che, a quel punto, diventa un problema. Le autorità dovrebbero occuparsene e in quest’ottica nasce il progetto».
«Ho contattato i debunker e sono riuscita ad entrare in contatto con alcuni di loro, tra cui Claudio Michelizza, e poi ho conosciuto Paradox. Lui aveva un canale in cui, piuttosto che fare fact checking, prendeva una serie di personaggi e andava a indagare su di loro, su cosa facevano, al di là delle castronerie che diffondevano sui social. Mi è piaciuta questa idea e volevo cominciare proprio da Montanari» Una volta messi insieme i tasselli, quindi, i tre hanno dato il via a un progetto che sta vedendo la luce con un primo dossier di 47 pagine sui coniugi no vax Montanari e Gatti.
«Vogliamo indagare su tutti i personaggi che stanno lucrando sulla pandemia»
«Ci abbiamo messo tanto perché volevo che il prodotto fosse il più documentato e serio possibile, abbiamo interpellato una serie di medici. Se questo primo lavoro dovesse avere un seguito stiamo valutando di iniziare a farlo in maniera programmata, ovvero iniziare ad attenzionare e a indagare su tutti quei personaggi che stanno lucrando sulla pandemia e che vanno fermati, o almeno ostacolati. Un po’ tramite fact checking, un po’ tramite questo, il nostro scopo è cercare di arginare il fenomeno.
Se l’iniziativa avrà successo, quindi, l’avvocato e i debunker hanno già in mente una serie di personaggi tra quelli che hanno maggiore visibilità da segnalare e rendere protagonisti di dossier che verranno inviati direttamente alle procure. «I pesci grossi produrranno sempre più fake news di quante noi riusciamo a debunkerare ma, proprio per questo, dobbiamo trovare un’altra direttiva perché se no il lavoro è inutile».
«Bisogna far capire che quello che fanno è reato»
«L’idea non è solo finalizzata a una denuncia ma si vuole anche stimolare l’opinione pubblica rispetto al problema, facendo dei dossier in cui spieghiamo questi chi sono e cosa fanno, perché quello che dicono è falso e chiarendo se commettono anche un reato nel farlo». I dossier prodotti dovrebbero quindi essere frutto di accurare indagini e arrivare sulle scrivanie dei poliziotti che dovranno solamente leggerli: «Vogliamo prendere contatto con le procure per far capire che qui non si parla di uno che dice che la terra è piatta ma che, essendo in mezzo a una pandemia, ne va della vita delle persone».
Il prossimo passo è «per dare maggiore visibilità alla cosa, fare una raccolta firme per una sottoscrizione che depositeremo in procura con il dossier così che le autorità si attivino in qualche modo. Saranno poi loro a decidere se i reati sussistono o meno, noi vogliamo dare il là. Siccome nessuno denuncia, noi segnaliamo e saranno loro a decidere chi perseguire e chi no in base alla gravità del reato, se ci fosse».
«Qualora il progetto dovesse crescere vorrei valutare l’appoggio di altri colleghi e collaboratori che vogliano aiutarmi a fare questa cosa anche perché mi pare di essere l’unico avvocato che sensibilizza sulle fake news. Molti dei miei colleghi, infatti, diffondono finti ricorsi contro la dittatura sanitaria e che raccolgono soldi e andrebbero attenzionati anche loro».