Poste italiane sta per dire addio alla “posta”?

Le parole dell'amministratore delegato dell'azienda (in procinto del prossimo step verso la privatizzazione) sembrano indicare la strada a partire dal 2026

01/10/2024 di Enzo Boldi

Si inviano sempre meno lettere. Si spediscono sempre meno raccomandate. Gli italiani, in un lungo e lento percorso di digitalizzazione, da anni hanno iniziato a utilizzare strumenti tecnologici che hanno soppiantato quelle dinamiche strutturali che fanno riferimento alla corrispondenza “tradizionale” e ai pagamenti attraverso bollettini. Dunque, il futuro di Poste italiane – oltre alla privatizzazione – potrebbe essere rappresentato da un addio ai servizi postali universali.

LEGGI ANCHE > Lo “scherzetto” del governo con il passaggio di PagoPA (anche) a Poste

Con il passare degli anni, i servizi offerti da Poste italiane sono diventati sempre maggiori e diversificati. Se alla sua nascita, nel lontano 1862, si occupava esclusivamente della corrispondenza, oggi l’ecosistema è molto più vasto: non solo pagamenti, ma anche servizi mobile, logistici, finanziari e assicurativi. Proprio questi sembrano essere al centro delle idee future dell’azienda che – tra l’altro – è alle prese con un nuovo passo verso una lenta privatizzazione, con il disimpegno dello Stato che sta per diventare sempre maggiore. Ed ecco che, anche a causa dei nuovi modi di interagire (basati sul digitale) a partire dal 2026 potrebbe concludersi il suo impegno per quel che riguarda i servizi postali universali.

Poste italiane dice addio ai servizi postali universali?

A indicare questa (sempre più) possibile strada è stato proprio l’amministratore delegato Matteo Del Fante che nella sua recente audizione alla Commissione Trasporti della Camera dei deputati ha fatto il punto della situazione della sua azienda e ha tracciato le prospettive per il futuro che prevederà, probabilmente, l’addio alla corrispondenza “tradizionale” e ai bollettini:

«Se concordiamo che la presenza di Poste sul territorio è importante, ma che la corrispondenza è quasi estinta, così come il bollettino, e che non possiamo permetterci 6 miliardi di costo del lavoro, allora dobbiamo permettere all’azienda di esistere, e per esistere deve operare sul libero mercato in concorrenza con gli altri operatori. È ovvio che a Poste non conviene più erogare il servizio universale, quindi ci rinunciamo e siamo operatori di mercato».

La strada, dunque, è quella del disimpegno verso i servizi postali universali. Ovvero l’addio – come spiegato da Del Fante – alla corrispondenza e ai bollettini, per concentrare gli sforzi (anche economici) su quei servizi che rappresentano – oramai – il vero profitto per l’azienda.

L’accordo in scadenza

L’amministratore delegato racconta una realtà visibile a tutti. La maggior parte delle persone non utilizza più Poste italiane per quei servizi considerati “tradizionali” e ormai desueti, soppiantati dalle tecnologie e dal digitale. Basti pensare alla PEC che ha sostituito le raccomandate, ma anche ai servizi di pagamento digitale che hanno velocemente soppiantato i bollettini. Dunque, o il governo darà più soldi per finanziare il mantenimento in attività di questi servizi in capo all’azienda pubblica (in attesa della sua privatizzazione), o dovrà pubblicare un nuovo bando per affidare i servizi postali universali ad altre società. Anche perché il contratto tra lo Stato e Poste è in scadenza alla fine del 2024, con una proroga automatica di 16 mesi. Questo vuol dire che se non si troverà un nuovo accordo entro l’aprile del 2026, la missione per cui è nata l’azienda nel 1862 arriverà al termine. E il governo cosa potrebbe fare? In attesa delle mosse sulla privatizzazione, si potrebbe pensare anche di abolire i servizi postali universali. Come già fatto, per esempio, in Danimarca dall’inizio dell’anno.

Share this article