L’enorme galassia dei siti fake shop

Al centro di un'inchiesta giornalistica internazionale, la rete utilizzava diverse tecniche per attirare potenziali vittime usando come specchietto per le allodole capi firmati a bassissimo prezzo. Parte tutto dalla Cina

15/05/2024 di Gianmichele Laino

Una truffa che andava avanti da tantissimo tempo e che ha attirato l’attenzione dei principali media internazionali. Stiamo parlando dei siti fake shop e della rete che si è creata a partire dalla Cina: capi di abbigliamento firmati, proposti a bassissimo prezzo sul web, per attirare gli utenti e fare incetta dei loro dati personali, compresi quelli per il pagamento digitale. Die Zeit in Germania, Guardian nel Regno Unito e Le Monde in Francia hanno messo insieme i pezzi di questo puzzle, provando a raccontare ai loro lettori quanto vasta fosse la truffa e quanto ampia la platea delle persone potenzialmente raggiungibili da questi malintenzionati. Secondo una stima dei ricercatori che hanno supportato l’inchiesta giornalistica – e che anche Giornalettismo ha avuto modo di sentire, come si vedrà in un altro passaggio del nostro monografico di oggi -, gli e-commerce finti dove veniva proposta questa tipologia di merce sono stati, nel corso degli anni, 76mila, mentre oggi 22.500 circa risultano ancora attivi.

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La grandissima rete internazionale dei siti fake shop

Tanti i marchi coinvolti, loro malgrado, nella truffa. In questi finti e-commerce si trova di tutto: articoli di lusso di brand come Dior, Nike, Lacoste, Hugo Boss, Versace e Prada, ma anche altre categorie merceologiche (sempre normalmente molto costose) che venivano proposte sotto costo, con una fortissima scontistica. Tra le altre cose, la rete di truffatori che stava dietro a questi fake shop spesso utilizzava anche layout abbastanza conosciuti di e-commerce dall’alta reputazione, salvo diversificarsi per qualche dettaglio che, all’apparenza, poteva non essere immediatamente individuabile o riscontrabile.

L’inchiesta giornalistica ha consultato una serie di persone cadute nella truffa: quasi tutte queste persone non hanno ricevuto i capi di abbigliamento che avevano ordinato e soltanto alcuni hanno ottenuto capi contraffatti o merce molto diversa (ma sempre falsa) rispetto a quella che avevano richiesto sul sito di e-commerce truffa. Sebbene le transazioni economiche fossero abbastanza ridotte singolarmente (e nonostante molte di queste, tra l’altro, non fossero andate a buon fine), la miniera d’oro ottenuta dai truffatori è rappresentata dai dati personali (si parla dell’ordine di grandezza di 800mila persone truffate, metà delle quali avevano inserito anche i propri dati bancari).

I ricercatori hanno individuato l’origine comune della truffa in Cina (in modo particolare, nella provincia orientale del Fujian), ma non è chiaro se i cybercriminali che hanno organizzato questa maxi operazione di social engineering fossero collegati in qualche modo alle autorità governative cinesi o se agissero per interessi privati.

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