Il passaggio della rete fissa TIM al consorzio guidato da KKR

Lunedì 1° luglio è andato in scena quel che solo 20 anni fa sembrava essere impossibile

02/07/2024 di Enzo Boldi

Si parte dal cambio di sede, con lo storico indirizzo romano di Corso d’Italia 41 che diventerà lo spazio che dovrebbe ospitare la nuova sede dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN). Ma questo è solamente un aspetto geografico figlio dell’avvenuto passaggio di TIM (per quel che riguarda la rete fissa che fa parte del ramo d’azienda chiamato NetCo) al consorzio guidato dall’operatore internazionale americano KKR (Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P.). Perché quel che un tempo era un vero e proprio monopolio in Italia, un tempo chiamata SIP, con il passare del tempo ha perso quote di mercato anche per via dei nuovi operatori e gestori che hanno azzerato quel paradigma univoco nel nostro Paese.

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L’accordo TIM-KKR aveva già ricevuto la benedizione (a mo’ di via libera) da parte dell’attuale governo italiano. Un’operazione dal valore complessivo di 18,8 miliardi di euro che potrebbero salire fino a oltre 22 miliardi, qualora dovesse andare in porto un accordo commerciale con Open Fiber. Tanti soldi e una rimodulazione totale delle attività, con l’azienda guidata dall’amministratore delegato Pietro Labriola che potrà ridurre – e non di poco – il proprio indebitamento finanziario netto di quasi 14 miliardi di euro. Ed è proprio in questa chiave che va letto questo passaggio epocale per la storia delle telecomunicazioni in Italia.

TIM-KKR, i dettagli dell’accordo per la linea fissa

Come detto, non tutte le attività di TIM passeranno sotto il controllo della nuova “holding” guidata dal consorzio che vede in prima fila il fondo KKR. Si tratta, infatti, “solamente” del ramo d’azienda NetCo, ovvero quello destinato alla gestione e allo sviluppo delle rete fissa. Non solo FTTH (la fibra), ma anche la FTTC (fibra su rete mista a rame). Ma chi, alla fine, si è accaparrato tutto questo? In prima fila c’è questo operatore internazionale di private equity che ha sede a New York, con quote azionarie che dovrebbero essere intorno al 35%. Poi troviamo il fondo Fondo Sovrano di Abu Dhabi Adia (20%) e il Canada Pension Plan (17,5%).

Dunque, la maggioranza delle azioni non saranno in mani italiane, ma la presenza di attori nostrani c’è, seppur in misura più marginale rispetto agli altri: il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) dovrebbe avere una quota pari al 16%, mentre l’11,2% saranno nelle mani di F2i, il fondo infrastrutturale italiane tra i cui azionisti troviamo anche Cassa Depositi e Prestiti (Cdp). Questo consorzio sarà inserito all’interno di un unico contenitore chiamato Optis BidCo che, di fatto, gestirà FiberCop, ovvero tutta quell’ampia porzione di rete fissa che un tempo era gestita da TIM e (in una parte più ridotta) da Fastweb.

Cosa accadrà ai dipendenti

Dunque, l’operazione è molto importante e di rilievo. Si introduce, di fatto, all’interno dell’ecosistema italiano delle telecomunicazioni un nuovo attore che potrebbe portare a un cambio di piani industriali. In attesa, per esempio, di capire se si arriverà a una convergenza con Open Fiber, occorre accendere un faro sui dipendenti di TIM. Attualmente, l’azienda aveva in seno circa 37mila lavoratori, ma con questo passaggio al consorzio guidato da KKR questo numero si dovrebbe ridurre di quasi 20mila unità. Attenzione: almeno per un momento, non è previsto un licenziamento di massa, visto che quei dipendenti che prima erano in TIM passeranno direttamente a FiberCop.

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