Molte delle canzoni che usate su TikTok potrebbero violare il diritto d’autore

Le sped-up songs sono al centro di una causa da 500 milioni di euro intentata da Universal Music Group e l'etichetta musicale francese Believe (e la sua sussidiaria TuneCore)

10/11/2024 di Redazione Giornalettismo

Nell’ultimo anno, sui social network – in particolare su TikTok, ma anche su Instagram – è diventato di tendenza un fenomeno chiamato “sped-up songs”. Parliamo delle canzoni “accelerate”, quindi di quei brani a cui sono state tolte le pause per dare vita a motivetti diventati virali, ma basati su pezzi cantati da artisti molto famosi. Alcuni di questi, però, potrebbero violare il diritto d’autore e non sono altro che una “furbata” messa in piedi da alcune persone che stanno traendo profitto da motivetti che, in realtà, non sono di loro proprietà. Ed è questa la base della causa intrapresa dalla UMG – Universal Music Group – (ma anche da ABKCO Music & Records e Concord Music Group) contro l’etichetta discografica francese Believe e la sua sussidiaria TuneCore.

UMG contro Believe e TuneCore, si parla di diritto d’autore

Stando al contenuto delle accuse, con la denuncia depositata presso una Corte distrettuale degli Stati Uniti, la UMG ha accusato Believe e TuneCore di violazione del diritto d’autore. Le due etichette discografiche transalpine – che hanno un ruolo importante per quegli artisti “emergenti”, soprattutto in termini di condivisione dei brani sulle piattaforme social – ospiterebbero brani che seguono il principio delle sped-up songs “interpretati” da “cantanti” dai nomi molto riconoscibili: “Kendrik Laamar”, “Arriana Gramde”, “Jutin Biber” e “Llady Gaga”. Insomma, nomi fake che ricordano quelli di artisti molto famosi.

La richiesta di risarcimento è elevatissima: oltre 500 milioni di dollari. Dunque, ancora una volta il tema della protezione del copyright musicale – relativamente ai social network – torna a essere un tema di cause giudiziarie. UMG e le altre sostengono che le etichette francesi tirate in ballo traggano profitto – e con loro questi presunti artisti “furbetti” – attraverso le condivisioni social e sui servizi di streaming (si parla anche di YouTube, Spotify ed Apple Music) di brani “modificati” di cui non posseggono i diritti. Un fenomeno dilagante sui social, con motivetti che sono alla base di molti trend social.

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